Lo Specchio

2. Setteventinove


La luce che entra dalla persiana taglia la stanza dividendoci idealmente: lei davanti al fornello, io ancora nel letto di questo suo piccolo monolocale. La guardo di straforo, facendo finta di dormire.
Lì, in piedi con addosso solo la camicia, prepara il suo caffè come fosse una mattina normale. Con quei movimenti lenti e sicuri dettati dalla sua routine appoggia la moka sulla fiamma. Eppure, ieri sera diceva che era abituata alla solitudine mattutina.
Ha già dimenticato che io sono qui?
Con la coda dell'occhio cerco di capire dove sono finiti i miei vestiti. Sono abbastanza sicuro di avere addosso solo le mutande… almeno credo. La maglietta è lì sulla sedia. I pantaloni… ecco li intravedo in fondo al letto. Le scarpe? Mi auguro che non siano finite sotto.
Elaboro un improbabile piano di fuga: mi alzo, afferro gli indumenti e mi fiondo alla porta. Se sono fortunato sarò fuori prima che lei realizzi cosa sta accadendo. Altrimenti, piano B, mi toccherà inventarmi qualche scusa per andarmene… ma prima di tutto, devo ricordami di ieri sera.
Faccio mente locale e cerco di ripercorrere gli eventi. Fumo, nebbia. Mi preparavo al solito weekend fatto di tempo perso. Avrei speso (o sprecato) la mia serata come al solito nella MIA routine.
Stavo per chiudere il negozio come sempre. Ricordo solo l'ora. Smaniavo per chiudere, ma lei perdeva tempo tra gli scaffali.
Proprio di venerdì mi deve capitare questa rompiballe?
Finalmente si decide e viene verso la cassa.
- Prendo questo. - ma dai, non l'avevo capito! - Scusa, ti sto facendo fare tardi. Stavi chiudendo, vero?
- Ma no, figurati! Dovevo ancora iniziare a sistemare! - ho mentito.
- Sicuro? Magari eri già pronto per scappare... dopo tutto è venerdì.
- Non ho progetti particolari, quindi non ho fretta - maledetta cortesia!
- Beh, dai, sicuramente non vedrai l'ora di andare a casa e magari dopo fare un giro… a parti invertite ti avrei sbattuto fuori! - ride. Ma cosa avrà da ridere...
- Come ti ho detto non ho programmi particolari... Sono 29 euro.
- Ah sì, ecco tieni. - in silenzio aspetta che batta lo scontrino. Gioca nervosamente con il cd delle hit di Chuck Berry che ha scelto.
- Sai, mi hanno parlato così bene di questa raccolta che quando sono uscita dall'ufficio mi sono fiondata subito qui.
Le allungo il resto, ma non fa cenno di prenderlo.
- Passo spesso qui davanti e guardo sempre la vetrina. Mi piace la selezione degli album esposti. È proprio il mio genere!
- Beh, a quanto pare sei una delle poche. Non ho tantissimi clienti, come vedi.
E l'unica che compra qualcosa arriva solo in orario di chiusura! Ma perché le do corda?!? Potevo chiudere il discorso come sempre con qualche monosillabo!
- Dici che non hai progetti per la serata, ma lo sai che al pub qui davanti stasera suona un gruppo che fa blues, inediti e qualche cover degli Stones? Non ho capito come si chiamano, Lu Band, o Lu rock band... Una mia collega li ha già sentiti qualche volta e dice che vale la pena fermarsi per un paio di birre.
Mi guarda. Sinceramente non so cosa si aspetti che risponda...
Finalmente rompe il silenzio:
- Io pensavo di trattenermi. Mangio qualcosa e poi mi fermo ad ascoltarli. Però... non so te... mi fa sempre triste andare ai concerti da sola...
Ha ragione. Anche a me non piace andare ai concerti da solo. La musica è migliore se condivisa con qualcuno. Un po' come la felicità.
- Potrei fare un salto effettivamente...
Lei mi guarda un attimo interdetta. Ho frainteso? Non mi stava invitando? Che figura di merda!
Per fortuna non mi sbagliavo.
- Bene, ci speravo! Aspetto fuori, non metterci tanto! Ho una gran fame!
E pensare che non conosco neppure il suo nome...

La serata è piacevole. Mangiamo, parliamo, ascoltiamo il concerto. E beviamo. Tanto. Troppo. Ma ne avevo bisogno. A casa sapevo già cosa mi aspettava e forse cercavo una scusa o un'opportunità.
A volte penso di essere veramente triste. Aspetto sempre che le cose accadano, senza agire per primo.
Chi fa la prima mossa, del resto, porta il peso delle conseguenze.
Chi aspetta può concedersi il privilegio di non esporsi.
Continuo a ripetere le mie giornate in attesa che arrivi qualcosa (o qualcuno) che butti sabbia negli ingranaggi della ruota da criceto che mi sono costruito. Sempre uguale, sempre più grande e insopportabile.
Comunque, a quanto pare la serata non è finita al pub. Evidentemente avevo inserito il pilota automatico, perché dopo il locale ho solo ricordi confusi... Ombre che si avviluppano, le scale, il letto. Sento ancora il sapore di alcool in bocca.
Che casino!
Però aspetta... tanto ormai il danno è fatto. È inutile farsi prendere dall'ansia. Siamo qui, meglio prenderla come viene. Alla fine, queste lenzuola hanno un profumo niente male e, a dirla tutta, anche lei.
Dopotutto, a volte, è necessario sentirsi un po' in colpa per poi esser orgogliosi di aver superato tutto ed esser di nuovo puliti. Ma qualcosa mi dice che non sarà possibile questa volta e che non potrò mai sentirmi come prima. E se davvero non dovessi riuscire a venirne fuori?
Non so da che parte andare ora, se avanzare o tornare indietro, ma di sicuro sto maledicendo il non riuscire a cancellare dalla mente il sapore della sua pelle.

Mi sento come un foglio di carta.
Un foglio di carta schiacciato dal vento contro una recinzione.

Ecco, ha preparato le tazzine e viene verso di me.
Meglio tirarsi su ed affrontare l'ennesimo errore.
Mi passa il caffè con un sorriso complice, come se stesse pensando anche lei che, a questo punto, tanto vale attenersi al fair play.



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