Lo Specchio
1. Venti Anni Fa
- Oh! Hai fatto i bigliettini?
- Sì, ma tanto domani sarà un casino usarli.
- Va beh, in qualche modo faremo! Dai, ci vediamo domani mattina. Passo a prenderti io in Vespa. Non farmi aspettare però che non ho voglia di scendere e citofonarti, ok? Notte!
- Ok, 'notte.
Alla fine sono dovuto comunque scendere per citofonare. Ho dovuto attendere ancora un po', poi finalmente si è presentato con la sua solita espressione da "che fretta c'è?" ed è salito in sella.
Il compito? Una merda!
Ma tanto è sabato, stasera si esce.
Nel primo pomeriggio alzo la cornetta e ci mettiamo d'accordo per fare un giro in centro dopo le prove col gruppo. Facciamo anche una deviazione per passare a prendere un'amica, ma non è ancora pronta. Dice "salite che finisco di prepararmi" e per le scale ci accoglie del sano rock che esce dallo stereo acceso in camera. Ecco, lo sento. Conosco questo richiamo ed è troppo forte! Meglio restare qua. Usciamo dalla finestra che dà sul tetto, ci togliamo le magliette e ci stendiamo sulle tegole calde. In fondo è una bella giornata di fine maggio. Il pomeriggio scivola tra risate e cazzate varie. In un momento arriva quasi ora di cena e detta in tutta onestà non abbiamo tanta voglia di separarci per tornare a casa.
- Che dite? Andiamo a mangiare qualcosa insieme?
- No, non posso. Stasera ho già un impegno. - glissa lei.
Noi due intoniamo un coro pieno di malizia.
- No! No! Devo solo uscire con mia sorella!
- Ah, ok. Fa lo stesso, dai.
- E noi invece?
- Per me va bene, devo solo avvisare i miei.
Trenta chilometri andata.
Trenta chilometri ritorno.
Anzi forse anche di più visto come siamo messi, il cambio di tragitto, la sosta pisciata... Ma soprattutto la tappa sul crinale della collina a guardare le luci della cittá sotto i piedi e le stelle sopra i nostri pensieri, seduti in macchina mentre facciamo girare uno spino.
- Cazzo, ma mi vuoi bruciare la macchina? C’è un buco sul sedile!
- Mi stavo bruciando la mano! Mi sono bruciato, guarda! Mica l'ho fatto apposta!
- Allora cazzo ti do a fare il posacenere, ma vaffanculo, va’!
Ci esponiamo ritualmente a questo gioco sadico, mettendo in palio, a turno, l'integrità degli interni d'auto. Non c'è posacenere che tenga! Che, oltretutto, quello della macchina è sempre piccolo.
A volte penso a quanto potrebbe essere comico tutto quel putiferio visto da fuori. Ma da dentro, vi giuro, non c'è niente di esilarante. Anzi, c'è solo la consapevolezza che nel luogo dove tutti vengono a scopare, noi stiamo litigando per una canna!
Per fortuna, quando l'auto riparte tutto è già dimenticato.
Arriviamo in discoteca, anche se è eccessivo chiamarla così, ma sala da ballo è veramente squallido e latrina è troppo deprimente. Per noi però è il luogo adatto per scaricare l'adrenalina e la rabbia pogando tutta la serata in pista, scambiandoci spallate tra amici con una cattiveria affettiva: una sorta di abbraccio fraterno.
Qui siamo belli e liberi o almeno così ci sentiamo.
Oltrepassata la porta d'ingresso, udiamo il suono della sirena che dà inizio alla serata a cui si mescolano le voci delle anime che danno vita al locale.
Entriamo con un sorriso deforme stampato in faccia e il pavimento in pendenza verso destra ti porta al centro del Paese dei Balocchi. Ecco tutto. Tutto quello che vuoi, puoi.
Puoi stare dentro e ballare o anche stare fuori... E ballare.
Puoi uscire a fumare... E puoi farlo anche dentro.
Dopo un paio d'ore di sudore cerco un po' d'aria fresca all'esterno. Il buio è tagliato dai fari di qualcuno che ha già deciso di tornare a casa o di finire la serata in un altro posto, in un altro modo.
Il casino del locale arriva anche qui, ma tutto sommato è piacevole non sentirsi soli. La musica, anche quando non siamo noi a sceglierla, anche quando stavamo cercando il più totale silenzio, sa sempre essere una buona compagna.
Mentre mi alleggerisco di qualche birra di troppo, Franz mi chiama da qualche metro più in là. Faccio finta di non sentire per rimanere raccolto ancora qualche attimo. Il canneto davanti a me si muove al ritmo del vento, più lento del brano che grida ogni volta che la porta di sicurezza si apre sul retro.
Non lo vedo, ma so che dietro l'ondeggiare della vegetazione c'è un lago. L'ho visto solo di giorno, mai la sera e mai tutto in uno sguardo.
È come se volesse anche lui nascondersi da tutto questo casino.
Riallaccio la cintura e gli rispondo. Mi chiede dove cazzo sono finito da un'ora, che dentro hanno trovato da fare bene e che non è certo il tempo per le seghe mentali.
Ma in fondo lo sa meglio di me che ognuno di noi ha bisogno dei propri momenti.
Lo sa perché me lo ha insegnato lui.
Forse siamo come quel lago, quando vogliamo essere più veri, abbiamo bisogno di nasconderci un po'.
Torno dentro nella bolgia.
Quella confusione trasmette un senso di libertà. Ti senti libero di guardare al futuro, ma di non volerlo raggiungere né di volerne cambiare il corso. Ogni cosa è più viva che mai. Ogni sensazione è leggera ma profonda e piangi e ridi allo stesso tempo per ogni pensiero che ti attraversa e che ti pugnala con la sua verità.
Pensi alla scuola, alle prove col gruppo, alla tipa che ti piace, a quello che vorresti dirle, alla società e quello che ti fa schifo, a quello che hai bevuto e ancora non ti basta, ai tuoi amici, a te bambino e un giorno padre, ai sogni... E poi all'improvviso ti accorgi che si sono accese un po' di luci e c'è meno gente.
Grace di Jeff Buckley fa il suo ingresso in pista.
- Posso ballare con te?
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